Da loccidentale.it:
Il "deep state", lo "stato profondo", cioé le strutture della forza di un Paese, i servizi, la intelligence, ex generali e alti ufficiali magari in pensione, le burocrazie e i gangli vitali del potere a Washington, come pure il sistema giudiziario.
Messi tutti insieme, e con la copertura dei media, questi poteri incarnano oggi la vera opposizione alla amministrazione democraticamente eletta. Il caso Flynn è il primo esempio, riuscito, di questa strategia? Insomma, per farla breve, l'establishment americano non si piega ancora al nuovo presidente, nonostante i poteri forti siano stati travolti dal voto popolare. L'impressione è che ci siano apparati ancora fedeli a Obama o repubblicani ostili a Trump che agiscono all'interno delle istituzioni Usa un po' come, all'esterno, nelle piazze delle grandi città americane, si organizzano "grandi" manifestazioni contro il presidente, con il sostegno di qualche miliardario di sicura fede democratica. Il Don finirà spodestato come accadde a Nixon? E' ancora troppo presto per dirlo. Del resto, mentre gli fanno la guerra dentro e fuori il palazzo, nel giro di qualche settimana Trump ha già messo a segno una serie di colpi che da soli valgono quanto i tradizionali cento giorni della presidenza Usa.
Stop all'Obamacare, alla immigrazione clandestina dal Messico, all'arrivo di migranti dai Paesi sponsor del terrorismo, avanti con i gasdotti congelati da Obama, con meno regole nel funzionamento dello stato federale, con le operazioni antiterrorismo, e l'elenco delle promesse mantenute da Trump potrebbe continuare. Insomma, il Don più lo assediano, più lui rilancia e alza la posta, scompaginando i piani degli avversari. E' già accaduto in campagna elettorale e sappiamo com'è finita, ha vinto lui. Ma stavolta il contesto è diverso. Trump è un presidente sotto assedio. E in una situazione instabile come quella che abbiamo appena descritto, ad andarci di mezzo pagando il prezzo più grande potrebbe essere la democrazia americana. Le regole e la costituzione che stavolta, per quelli come Kristol, passano in secondo piano.
La domanda ancora una volta non è tanto cosa si dicevano i diplomatici russi con il generale Michael Flynn prima che quest'ultimo diventasse consigliere per la sicurezza del presidente Donald Trump.
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Il "deep state", lo "stato profondo", cioé le strutture della forza di un Paese, i servizi, la intelligence, ex generali e alti ufficiali magari in pensione, le burocrazie e i gangli vitali del potere a Washington, come pure il sistema giudiziario.
Messi tutti insieme, e con la copertura dei media, questi poteri incarnano oggi la vera opposizione alla amministrazione democraticamente eletta. Il caso Flynn è il primo esempio, riuscito, di questa strategia? Insomma, per farla breve, l'establishment americano non si piega ancora al nuovo presidente, nonostante i poteri forti siano stati travolti dal voto popolare. L'impressione è che ci siano apparati ancora fedeli a Obama o repubblicani ostili a Trump che agiscono all'interno delle istituzioni Usa un po' come, all'esterno, nelle piazze delle grandi città americane, si organizzano "grandi" manifestazioni contro il presidente, con il sostegno di qualche miliardario di sicura fede democratica. Il Don finirà spodestato come accadde a Nixon? E' ancora troppo presto per dirlo. Del resto, mentre gli fanno la guerra dentro e fuori il palazzo, nel giro di qualche settimana Trump ha già messo a segno una serie di colpi che da soli valgono quanto i tradizionali cento giorni della presidenza Usa.
Stop all'Obamacare, alla immigrazione clandestina dal Messico, all'arrivo di migranti dai Paesi sponsor del terrorismo, avanti con i gasdotti congelati da Obama, con meno regole nel funzionamento dello stato federale, con le operazioni antiterrorismo, e l'elenco delle promesse mantenute da Trump potrebbe continuare. Insomma, il Don più lo assediano, più lui rilancia e alza la posta, scompaginando i piani degli avversari. E' già accaduto in campagna elettorale e sappiamo com'è finita, ha vinto lui. Ma stavolta il contesto è diverso. Trump è un presidente sotto assedio. E in una situazione instabile come quella che abbiamo appena descritto, ad andarci di mezzo pagando il prezzo più grande potrebbe essere la democrazia americana. Le regole e la costituzione che stavolta, per quelli come Kristol, passano in secondo piano.
La domanda ancora una volta non è tanto cosa si dicevano i diplomatici russi con il generale Michael Flynn prima che quest'ultimo diventasse consigliere per la sicurezza del presidente Donald Trump.
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